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In Svizzera, il tema della mobilità è diventato da tempo una questione di rilevanza sociale. Le città che lottano contro gli ingorghi del traffico sono sempre più spesso invitate ad avviare una politica di trasporto “net zero”. Queste iniziative sono effettivamente giustificate. In un confronto internazionale, la Svizzera ha uno dei tassi di utilizzo dei veicoli più inefficienti in assoluto. Un’analisi dell’Ufficio Federale di Statistica ha dimostrato che i veicoli rimangono fermi per una media di 23 ore al giorno e che, quando sono in funzione, sono occupati solo circa 1,6 posti. Ciò corrisponde a un fattore di carico combinato di appena l’1,6%. I crescenti ingorghi sulle nostre strade, soprattutto nelle ore di punta, sono il risultato di questo scarso utilizzo.
La Svizzera è infatti un paese di pendolari in auto. Più della metà dei pendolari svizzeri usa l’auto ogni giorno. Questo dato è importante perché poco meno di un terzo delle emissioni di gas serra in Svizzera è attribuibile al traffico automobilistico. Ciò significa che sia la decarbonizzazione che l’aumento della capacità di utilizzo della mobilità in Svizzera diventeranno probabilmente componenti importanti di una strategia economica sostenibile. In sostanza, l’agenda per una svolta nei trasporti in Svizzera è ovvia.
L’intera flotta svizzera di 4,7 milioni di autovetture dovrebbe essere ridotta. Ma il cambiamento raramente è facile. L’automobile è diventata da tempo un simbolo potente della nostra individualità, della nostra autodeterminazione e anche della nostra cultura industriale. Da questa constatazione nasce una domanda cruciale: Cosa spingerebbe le persone a rinunciare volontariamente alla propria auto?
La risposta dovrebbe essere ovvia: per invitare le persone a rinunciare alla propria auto, le alternative al possesso di un’auto devono essere ampliate, migliorate e interconnesse in modo semplice. Il motto è “Usare invece di possedere”. La mobilità come servizio è il termine del momento. Non si tratta di stabilire se il trasporto pubblico, le biciclette e gli scooter elettrici condivisi o il car sharing rappresentino un’unica alternativa. Si tratta piuttosto di mettere in rete, con il supporto digitale, una catena di mobilità multimodale di facile accesso. Un interessante studio dell’agenzia di consulenza McKinsey conferma questo potenziale: mostra che la disponibilità delle persone all’uso condiviso dei veicoli è aumentata. Lo studio dimostra anche che non è importante solo il possesso di un veicolo, ma anche l’accesso ai veicoli. Ma chi offre questo accesso alle soluzioni di Mobility-as-a-Service?
Aziende innovative come Lonza e Roche stanno già lavorando sodo su nuovi modelli di mobilità. Per ridurre il trasporto privato motorizzato, si affidano a flotte di veicoli multimodali e condivisi – dalle e-bike alle e-car, fino agli e-scooter – che vengono poi condivisi tra i dipendenti in base alle esigenze degli utenti. In questo modo, sempre meno dipendenti si recano al lavoro con la propria auto e condividono invece una serie di opzioni di mobilità diverse. I veicoli condivisi dispongono di un parcheggio centrale, di un servizio di manutenzione e pulizia e di un’app di facile utilizzo con cui è possibile prenotare il veicolo desiderato in qualsiasi momento, sbloccarlo e fatturarlo senza problemi dopo il viaggio. I vantaggi per le aziende sono evidenti: i costi si riducono perché non ci sono tante auto da acquistare, la domanda di parcheggio diminuisce drasticamente perché un maggior numero di persone utilizza meno auto e le emissioni complessive di gas serra dovute alla mobilità si riducono, soprattutto se i veicoli condivisi sono e-car o e-bike.
Per determinare i benefici della piattaforma di mobilità Urban Connect, abbiamo condotto un’indagine tra i dipendenti presso la sede di un cliente per registrare i percorsi di pendolarismo e i rispettivi comportamenti di trasporto utilizzati prima e dopo l’introduzione della piattaforma Urban Connect.
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